La musica in Galleria: cara mi costa!

I Centri commercianti a quanti debbono pagare i diritti per la “musica di sottofondo”: regna confusione, chi controlla la paternità dei diritti, le Collecting fanno la guerra inviando pec e richiedendo compensi.

L’anno sta finendo e a gennaio ci troveremo di fronte a richieste di pagamento dei diritti per la musica di sottofondo nelle Gallerie da più società Collecting, sarebbe il caso che qualcuno ci spieghi come uscire dall’impasse, ma facciamo chiarezza: La questione della “musica di sottofondo” – un business da alcune decine di milioni di euro l’anno – merita senza dubbio attenzione.

Fino a qualche anno fa  i Centri Commerciali, i negozi, gli alberghi, ecc. che hanno riprodotto musica di sottofondo per rendere più piacevole il processo di acquisto o la permanenza, hanno pagato, oltre a SCF per i “diritti connessi”,  una tariffa alla Società Italiana Autori Editori (Siae) per la diffusione in pubblico di opere da essa amministrate, una somma variabile a seconda dei metri quadri del locale e del numero di diffusori sonori, diritti che vengono poi ridistribuiti agli autori ed editori, cifre importanti viste le dimensioni delle gallerie dei Centri commerciali per quel che ci riguarda.

A seguito del processo di liberalizzazione del mercato del diritto d’autore, da alcuni anni non esiste più un “monopolio” della storica Siae, ma sono emersi nuovi operatori, e, tra questi, la società britannica Soundreef, fondata nel 2011 dall’italiano Davide D’Atri .
Dopo anni di scontri piuttosto duri nell’aprile di tre anni fa i due contendenti addivenirono ad un accordo: la Siae riconosceva la legittimità di Lea a raccogliere diritti d’autore per conto di Soundreef Ltd e i suoi iscritti diretti, grazie a quest’accordo i diritti pagati alla Siae annualmente comprendevano anche i diritti di SoundReef /Lea.

L’amore tra le due Collecting è durato poco, solo tre anni, fino al 30 giugno2022, e così come avviene nei peggiori divorzi, la Siae ha comunicato che dal 1° luglio 2022 il pagamento della quota per la licenza di riproduzione della musica di sottofondo nei locali pubblici copre solo ed esclusivamente i suoi autori. I diritti per gli autori di Soundreef vanno pagati a Soundreef, e questo vuol dire che per gli esercenti il rischio di pagare “doppio” è concreto, ma non è tutto, perché nel frattempo le società di Collecting sono diventate tante, addirittura nove, grazie alla liberalizzazione del mercato della raccolta dei diritti d’autore e diritti connessi, le licenze proposte dalle nuove società di Collecting si vanno quindi a sommare agli attuali costi di licenza sostenuti con SIAE e SCF:

AFI – ASSOCIAZIONE FONOGRAFICI ITALIANI (diritti connessi Produttori)
AUDIOCOOP (diritti connessi Produttori)
EVOLUTION (diritti connessi Produttori)
GET SOUND Srl (diritti connessi Produttori e AIE)
ITSRIGHT Srl (diritti connessi Produttori e AIE)
LEA – Liberi Editori e Autori (diritto d’autore ed Editore)
NUOVO IMAIE (diritti connessi AIE)
SIAE – Società Italiana degli Autori ed Editori (diritto d’autore ed Editore)
SCF Srl (diritti connessi Produttori)

Uno scenario variegato, e complesso, e complicato nei suoi intrecci.

I centri commerciali possono uscirne in modo indolore? le opzioni sono 3:

1. diffondere musica senza controllare di quale repertorio faccia parte (Collecting), ma ovviamente rischiando una intimazione di pagamento;

2. controllare, con tutte le difficoltà del caso, tutti i brani che si diffondono, valutando a chi pagare Siae, Lea o altri, in base ai propri orientamenti;

3. affidarsi a provider di musica con cataloghi così detti “royalty free” (brani non noti ma con mood adeguato), con canoni decisamente più bassi (saving anche superiori al 50% sui diritti), facendosi però garantire in merito la titolarità del catalogo, tutela legale e relativa manleva totale in caso contenziosi, non pagando così nessuna delle Collecting note;  

In realtà ce ne sarebbe una quarta, utopica, che le collecting si consorziassero in un unico ente richiedente all’utilizzatore e dopo aver raccolto i diritti alla musica trasmessa, ridistribuisse proporzionalmente i proventi ai diversi detentori.

Certo è difficile “controllare scrupolosamente ciò che si diffonde” è impensabile che un provider o Centro Commerciale possano decidere di selezionare la musica che viene fatta ascoltare, ogni brano oggi ha diversi autori che possono essere rappresentati da diverse Collecting, per cui un brano può essere rivendicato dai più e tra l’altro non tutte le Collecting hanno il catalogo in evidenza e non esistono al momento banche dati uniche, per cui potremmo non sapere a chi attribuire i diritti della musica trasmessa.

Di fatto, la liberalizzazione della gestione collettiva dei diritti, pensata come una possibilità di scelta per gli aventi diritto, sta determinando un imprevisto aumento dei costi, a parità di opere musicali complessive utilizzate, per gli utilizzatori.

Vista la situazione ormai insostenibile, attendiamo che AGCOM, l’autorità che vigila sul mercato delle Collecting, agisca prontamente per determinare con tutti gli attori tariffe uniche, come accade negli altri paesi a libero mercato, designando magari un unico soggetto a cui affidare l’attività di raccolta, controllo e distribuzione dei compensi, creando un’unica banca dati certa e sempre aggiornata per le opportune visure da parte degli utilizzatori, al netto della competizione tra le Collecting nei confronti degli aventi diritto.

Davide Petrucci
Res. Marketing Ethos

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