Le mascherine sono archiviate, ma il marketing dei centri commerciali resta in apnea perché l’imperativo del “saving”, entrato prepotentemente nel vocabolario del settore con il lockdown, non ci ha più lasciato e ha gravato sulla pianificazione per tutto il 2022. Le motivazioni – che spingono Proprietà, Consorzi e quindi Gestori alla stretta sugli investimenti – sono comprensibili, in un mercato passato da un emergenza ad un’altra, dalle restrizioni dettate dalla pandemia all’austerità imposta dalla guerra in Ucraina e dal caro bollette.

Non possiamo però ignorare il fatto che alla lunga il saving stia pericolosamente erodendo la capacità dei centri commerciali di concepire programmi strategici di largo respiro, contemplando orizzonti che vadano oltre la contingenza e guardino alla tenuta del modello in un futuro prossimo di mutati comportamenti di acquisto e di consumo.

Naturalmente esistono sempre le eccezioni: realtà in cui decisori di ampie vedute non solo hanno prontamente ripristinato i budget pre-crisi, ma addiritura in alcuni casi stanziato investimenti extra per sostenere il ritorno alle performance, siano queste misurate in presenze, tempo di permanenza, spesa, engagement. Ma si tratta di casi limitati, che possono ispirare, ma non compensare a un generalizzato trend di downsizing. Solo guardando all’osservatorio Cushman & Wakefield, il budget marketing si è ridotto negli ultimi due anni di un 20%, variamente distribuito tra alcuni virtuosi che hanno riconfermato il budget iniziale e molti che navigano tra il 10, il 20 e persino il 30% di tagli. Una navigazione spesso insidiosa, perché un’altra conseguenza della pianificazione di crisi è stata la contrazione dei tempi. Il piano marketing annuale si redige nei termini consueti, ma senza impegnare investimenti, per poter velocemente rientrare nell’eventualità di esigenze improvvise e incognite quali, appunto, le bollette energetiche.

Sulla necessità di un approccio prudenziale non si discute. I tenant hanno pagato a caro prezzo il crollo dei consumi e il ritorno a una mutata normalità. Anche proprietà e Investitori hanno visto erodere sostanzialmente le proprie aspettative di margine. In alcuni casi, il taglio dei budget ha consentito di alleviare anche solo in parte i costi a carico degli operatori e quindi di proteggere la sopravvivenza stessa del Centro. Quello che impensierisce però è il consolidarsi di una mentalità di crisi che trasforma misure nate dall’emergenza in un nuovo modello gestionale. L’austerità da reattiva diventa preventiva e persino strutturale. Se complessi dominanti, per offerta, brand mix, posizione e bacino possono permettersi di snellire la pianificazione pur mantenendo gli investimenti fondamentali, i centri medio-piccoli sono quelli che soffrono maggiormente e vedono la propria “share of voice” assottigliarsi.

In sintesi, le conseguenze di una perdurante logica emergenziale sono: limitata capacità di sviluppare progetti strategici di lungo termine, e quindi di intraprendere investimenti tecnologici atti ad affrontare un nuovo scenario di mercato; progressiva perdita di visibilità e rilevanza in uno scenario competitivo sempre più esteso in cui i centri si confrontano non più solo con i propri competitor diretti ma con una molteplicità di canali e touchpoint; sofferenza dei fornitori stretti tra tempistiche sempre più ravvicinate, compressione dei margini, costi delle materie prime e problemi di approvvigionamento. Un esempio concreto: l’ottimizzazione a pioggia, che ha portato per esempio al disinvestimento su decine di impianti outdoor o alla spoliazione delle luminarie natalizie, impatta su un’industria già provata da due anni di dieta forzata. Ma lascia segni duraturi anche sui centri commerciali, che vedono sparire il proprio brand da posizioni presidiate per anni, e che spengono le luci proprio quando l’experience, messa in mora dal lockdown, torna prepotentemente alla ribalta.

Come recuperare il tempo e la visibilità perduti?

In primo luogo con una maggiore consapevolezza e occulatezza. La crisi ci ha insegnato a ripesare il marketing, a valorizzare la creatività. Durante la lunga pausa, abbiamo avuto il tempo e la concentrazione per fare ricerca, guardare alle best practice internazionali, testare nuove soluzioni tecnologiche. Alcuni fornitori ne sono usciti rafforzati. Le ultima edizioni degli Awards CNCC e ECSP hanno portato alla ribalta centinaia di progetti innovativi, segno che la voglia di testare strade nuove rimane. Cresce, incoraggiata dalle Proprietà e a grande richiesta dai clienti finali, la domanda di progetti sostenibili e responsabili, pensati e calati sul territorio. Anche questa è un’opportunità a favore dei centri, non importano la dimensione e il budget disponibile. Come associazione che riunisce le varie anime di un’industria sofisticata e sensibile dobbiamo migliorarci nella capacità e nella volontà di fare sistema, condividendo i dati, le esperienze e le responsabilità. A partire da questo blog.

Paola Mangia
Associate, Head of Clients Marketing & Communication
Cushman & Wakefield

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